sábado, 11 de agosto de 2007

Arte y Frontera, Mexico

En la foto, propuesta de Judy Werthein fotografíada por Alfredo De Stéfano. In Site 05

Artículo publicado originalmente en DROME magazine, septiembre 2007, Italia.
www.dromemagazine.com
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F R O N T E R A
ALCUNE LETTURE ARTISTICHE DAL MESSICO

-Sol Henaro-

Tijuana e San Diego sono la stessa città che, come Berlino, si è divisa per un “caso” o per strani disegni del destino. […] La frontiera s’impone come un vortice dimensionale inghiottendo tutti i viaggiatori senza documenti.
Fran ilich, Metro-Pop, Edizioni SM 1993-1997


Il Messico è un Paese formato dai più strani e sorprendenti contrasti. Il Messico è magico, povero, assurdo, stupefacente, propositivo, dinamico, resistente, è antico e contemporaneo, ed è geograficamente ancorato alla maggiore potenza economica, politica e culturale dei nostri tempi: gli Stati Uniti d’America. Questa coincidenza geografica marca il comportamento del Messicano in moltissimi aspetti della sua vita tanto che parlare di frontiera diventa pura routine.

In Messico le frontiere sono parte della normalità tra le troppo distanti classi sociali, i confini dell’educazione, il muro che ci separa dagli Stati Uniti, la polizia a caccia di immigrati illegali, le lunghe code in macchina per il controllo migratorio, i polleros o coyotes che trasportano illegalmente latini d’America…
Il Messicano, soprattutto quello del Nord, ha imparato a convivere con l’effervescenza che provoca tale separazione e ha appreso in alcuni casi a trarre profitto da questo stato di cose creando un sorta di rapporto parassitario remora-squalo. Che ne sarebbe degli adolescenti statunitensi senza una città come Tijuana, per esempio? Impossibilitati dal bere alcool nel loro paese fino a 21 anni, nel fine settimana tutti i bar e i centri notturni di questa città di frontiera si riempiono di giovani gringos: Americani che, sebbene contribuiscano all’economia locale, vedono Tijuana solo come un ricettacolo dei loro eccessi, la terra delle licenze e delle eccezioni. Un Rapporto promiscuo tra due realtà molto diverse.
Le linee di separazione reali, immaginarie o imposte sono tematiche sociali su cui molti artisti indagano, condannandole o esaltandole attraverso le loro proposte. Quelli qui citati sono solo alcuni esempi nati in Messico, dove il concetto di frontiera ha senza dubbio infinite sfaccettature.

Uno dei progetti più interessanti risultato della riflessione su questa dicotomia tra Messico e Stati Uniti è inSITE, evento internazionale d’arte contemporanea che implica la ricerca sul campo, oltre a seminari, interventi e progetti pubblici di artisti che studiano, osservano e vivono quotidianamente - ma solo per un certo periodo - la relazione tra le vicine città di San Diego (negli Stati Uniti) e Tijuana (in Messico), città divise da un vergognoso muro eretto lungo la linea di frontiera. Con regolarità biennale inSITE offre in ogni edizione una scelta di artisti, curatori e teorici internazionali che sperimentano per un certo periodo la doppia realtà geografica per poter poi creare una proposta artistica. Nell’edizione del 2005 uno dei progetti più interessanti che riuscì ad offrire un’opinione critica sul tema fu Brinco (Salto, NdR), dell’artista argentina Judi Werthein, che creò un esclusivo modello di scarpe da ginnastica espressamente progettato per gli immigrati che ogni giorno cercano di saltare il muro per provare a raggiungere il loro sogno americano. Le scarpe - che nascondono analgesici, una razione di sali minerali, una bussola, una micro-lampadina, una cartina con le migliori rotte illegali attraverso il deserto per arrivare a San Diego e una piccola busta per occultare i pochi soldi che portano con sé -, furono distribuite gratuitamente a vari “saltatori” in un atto quasi altruista che pretendeva di offrire qualche beneficio ai clandestini (los indocumentados) durante la loro dura traversata.
L’artista venezuelano Javier Téllez realizzò la performance One Flew Over the Void (Pallottola persa, NdR) sulla spiaggia californiana a pochi metri dal muro di confine, dal quale scagliò un uomo-pallottola che, attraversando per via aerea la frontiera, atterrò sul lato statunitense, esplorando così la nozione di frontiera spaziale e mentale. Durante l’atto artistico c’era un’atmosfera d’assoluta frenesia - per lo meno dal lato messicano - dovuta all’implicazione politica del gesto che era anche un atto sarcastico, una parodia sulla possibilità di oltrepassare la difficile frontiera senza mettere un piede sulla linea divisoria e senza dover mostrare nessun passaporto.

In queste due proposte è evidente il rapporto e la critica al dibattito politico sul concetto di confine ma esistono anche altre proposte non legate a IN SITE con cui si segnalano diverse prospettive sul tema, proprio come succede con l’opera Cuando la fe mueve montañas (Quando la fede muove le montagne, NdR), dell’artista belga, ormai messicano d’adozione, Francis Alÿs. Alÿs convocò circa 500 volontari per partecipare a un’azione artistica durante la III Biennale di Lima (Perù), nel 2002, in cui venne spostata di qualche centimetro, con il solo ausilio di pale, una duna di sabbia. Senza dubbio questa azione è stata il risultato di un atto di fede, della volontà di superare una barriera mentale e di riuscire con la collaborazione e partecipazione dell’altro in un atto quasi strampalato, una prodezza poetica, forse, un moto di speranza. Una proposta che è riuscita a provocare un impatto nell’animo della società e un esempio di come sia possibile generare con l’arte diverse vie per capire la realtà e il mondo.
Nel caso dell’opera America Letrina (America Latrina, NdR), l’artista messicano Damían Ortega segnala con ironia il rapporto degli Stati Uniti d’America con l’America Latina che, in molti sensi, è vista come il cassonetto dell’indesiderabile, l’area di discarica o il porto franco della corruzione, come capita per esempio con le decine di maquiladoras (fabbriche di produzione in serie) che sono state costruite nella zona periferica di Ciudad Juárez (città tristemente famosa per i molteplici omicidi di donne) dato il basso costo della mano d’opera e, più in generale, per la possibilità di infrangere le locali norme ambientali e di sicurezza. Ma questa è ancora un’altra storia…

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